I laboratori ambientali hanno lo scopo di far capire l’importanza degli ecosistemi a tutte le persone di buona volontà, dai bambini ai grandi, da chi si è fermato alle scuole dell’obbligo a chi ha fatto ricerca a qualsiasi livello.

Quello che proponiamo è un tuffo in Cerere, la Wilderness, prima di passare ai laboratori agricoli e, da questi, ai laboratori alimentari.

I laboratori ambientali sono intenzionalmente progettati per creare un’esperienza di apprendimento culturalmente rilevante e i principi di progettazione adottati sono tesi a mettere al centro di ogni attività gli studenti e la Natura.

Cosa troveranno quanti decideranno di prenotare una visita didattica in questa fattoria?

Sotto  riporto il quadro generale sullo stato delle relazioni uomo – agricoltura – natura.

Uno sguardo d'insieme al nostro pianeta prima della comparsa dell'uomo agricoltore

In pratica, prima della comparsa dell’uomo agricoltore, circa 12.000 anni fa, il pianeta Terra non presentava antroposistemi ma solo ecosistemi.

Tali ecosistemi si possono organizzare in grandi gruppi o classi detti macro biomi:

  1. Oceani 361 x 106 km2;
  2. Acque interne, o acque dolci, 4 x 106 km2;
  3. Foreste, di vario tipo, 49.5 x 106 km2;
  4. Praterie, di vario tipo, incluse le Savane, 45 x 106 km2;
  5. Terre inospitali per l’uomo (barren lands): deserti calditundre  deserti ghiacciati, Antartide incluso, 50.5 x 106 km2.

Il pianeta Terra (510 x 106 km2) risultava essere un mosaico le cui tessere erano questi macro biomi che possono essere suddivisi ulteriormente sulla base di:

  • intervalli climatici (temperature medie e loro distribuzione annua, precipitazioni medie e loro distribuzione annua) più ristretti, 
  • intervalli latitudinali vieppiù più precisi, oltre ai soliti tre (tropicale, temperato, polare), 
  • intervalli altitudinali più raffinati, che tengano conto, a parità di quota, delle latitudini, delle esposizioni e dei venti dominanti, 
  • organismi viventi presenti nel bioma considerato, organismi viventi sia micro che macro, sia produttori primari che ai successivi livelli trofici delle reti alimentari.

Uno sguardo d'insieme al nostro pianeta oggi, dopo la comparsa dell'uomo agricoltore

Dopo 12.000 anni, questa è la situazione:

  1. Oceani 361 x 106 km2;
  2. Acque interne, o acque dolci, 4 x 106 km2;
  3. Foreste, di vario tipo, 15 x 106 km2;
  4. Praterie, di vario tipo, incluse le Savane, 10 x 106 km2;
  5. Terre inospitali per l’uomo (barren lands): deserti calditundre  deserti ghiacciati, Antartide incluso, 42 x 106 km2 ,

a cui aggiungere i nuovi sistemi ambientali, figli dell’uomo: gli antroposistemi:

  1. Terre arabili 16 x 106 km2;
  2. Pascoli 35 x 106 km2;
  3. Selvicoltura 25 x 106 km2;
  4. Infrastrutture e Strutture 2 x 106 km2.

Dopo 12.000 anni, circa 78 x 106 km2 di ecosistemi, pari al 54% delle terre emerse al netto delle acque interne, sono stati sottratti dall’uomo a Cerere e trasformati in antroposistemi.

Antroposistemi

In particolare, l’uomo risulta aver sottratto a Cerere, la Natura, la bellezza di 69.5 x 106 km2 su 94.5 x 106 km2 di terre ospitali, pari al 73,5% delle stesse.

Tre parti su quattro!

Altro che emissioni in eccedenza di CO2!

La sottrazione delle terre a Cerere, ovvero la distruzione degli ecosistemi a praterie e foreste è il vero danno che l’uomo ha provocato e sta provocando al Pianeta Vivente.

Per rimediare, bisognerebbe 

  1. arrestare da subito la “presa di possesso” dei residui ecosistemi terrestri e marini e 
  2. riconvertire parte degli antroposistemi in ecosistemi, ovvero restituire terre e aree marine a Cerere, la Natura.
Ecosistemi

Che cosa è l'agricoltura

L’agricoltura è quell’insieme di tecniche impiegate dall’uomo per interagire con gli ecosistemi terrestri al fine di produrre 

  1. piante,
  2. funghi e
  3. animali 

utili all’uomo.

Per comunicare la potenza distruttiva dell’agricoltura sugli ecosistemi e, in particolare, dell’agricoltura intensiva o industriale che dir si voglia, mi piace sempre citare un estratto del libro “The Vegetarian Myth: Food, Justice, and Sustainability“. 

È un libro del 2009 scritto da Lierre Keith e pubblicato da PM Press.

In esso, Lierre Keith riporta vivacemente il suo pensiero su come opera la natura e, al contrario, su come opera l’uomo in agricoltura intensiva.

“Iniziate con un pezzo di terra, una foresta, una prateria, una zona umida.

Nel suo stato originario il terreno è ricoperto da una moltitudine di piante, che lavorano in concerto con la microfauna – batteri, funghi, lieviti – e con gli animali, dagli insetti ai mammiferi. Le piante sono i produttori, trasformano la luce del sole in massa, creando sia l’atmosfera ricca di ossigeno che il resto di noi respira, sia il topsoil da cui il resto di noi dipende.

Questa è chiamata policoltura perenne.

Policoltura perché ci sono così tante piante diverse, che cooperano, competono, contribuiscono; tutte riempiono una nicchia con una funzione necessaria.

Perenne perché la maggior parte delle piante vive molti anni, sequestrando il carbonio nei loro corpi di cellulosa e formando chilometri di vasti sistemi di radici nel terreno.

Le policolture perenni sono il modo in cui la natura protegge e costruisce il suolo, in cui la vita si è organizzata per produrre di più.

L’agricoltura è questo: si prende un pezzo di terra e lo si ripulisce da ogni essere vivente, fino ai batteri. 

Poi lo si pianta per uso umano con una piccola manciata di specie, spesso chilometri infiniti di un’unica pianta come mais, soia, grano. 

Gli animali vengono uccisi, spesso fino all’estinzione. Semplicemente non hanno un posto dove andare.

– Nel 1491 negli Stati Uniti c’erano tra i 60 e i 100 milioni di bisonti. Ora ci sono 350.000 bisonti, e solo 12-15.000 di questi sono bisonti puri, non incrociati con bestiame domestico.

– La terra ospitava tra i 425.000 e il milione di lupi; oggi ne rimangono solo 10.000.

– Alcune specie di uccelli che vivono al suolo sono state spazzate via prima ancora di avere un nome (nomi europei, cioè; sono sicuro che le popolazioni indigene sapevano come chiamarle).

– La prateria nordamericana si è ridotta al 2% delle sue dimensioni originarie e il topsoil, che una volta era profondo tre metri, ora può essere misurato solo in pollici.

L’agricoltura si basa su monocolture annuali, l’esatto contrario delle policolture perenni, e fa il contrario di ciò che fa la natura: distrugge il topsoil.

“Il deterioramento del suolo è l’inevitabile danno dell’agricoltura all’ambiente”, scrive Steven Stoll.

O, come dice Tom Paulison, “Il pianeta si sta spellando”.

L’agricoltura è una catastrofe che non permette mai alla terra di guarire.

E mantenere la terra nuda comporta uno sforzo enorme.  Perché la vita vuole vivere.  Gli alberi cercano di creare una foresta, le erbe vogliono la loro prateria e le acque desiderano una zona umida.

Se si abbandona un terreno disboscato nel New England, si troveranno bacche e rovi, poi sommacco e betulla, poi aceri, querce e pini. In cinque anni sarà ricoperto di alberelli; in dieci anni saranno troppo grandi per essere tagliati con una sega a mano. È la terra che si protegge, ricoprendo il suo corpo con un’armatura vivente di verde.

Ma la sua armatura non è abbastanza spessa, non quando gli aggressori sono gli esseri umani.

L’agricoltura è più che altro una guerra, un attacco a tutto campo ai processi che rendono possibile la vita. E l’agricoltura non è una guerra vera e propria perché le foreste, le zone umide e le praterie, la pioggia, il suolo, l’aria non possono reagire.

L’agricoltura è più che altro una pulizia etnica, che spazza via gli abitanti indigeni per permettere agli invasori di conquistare la terra.

È una pulizia biotica, un biocidio.

“Nella storia della civiltà… il vomere è stato molto più distruttivo della spada”.

Non è non violento. Non è sostenibile. E ogni boccone del suo cibo (questo testo tra parentesi lo aggiungo io: “riso, frumento, orzo, mais, canna da zucchero, soia, nonché allevamenti industriali di pesci, avicoli e artiodattili”) è carico di morte”.

Morale della favola: abbiamo bisogno di convertire progressivamente tutte le produzioni agricole all’agricoltura rigenerativa biologica non industriale. Sia coltivazioni sia allevamenti.

Madre Terra non produce i cibi reali secondo i metodi dell’agricoltura convenzionale, e sinceramente neanche secondo i metodi 

  1. dell’agricoltura biologica
  2. dell’agricoltura rigenerativa, 
  3. dell’agricoltura biologica rigenerativa
  4. dell’agricoltura biologica rigenerativa non industriale.

Ma queste forme di agricoltura si avvicinano progressivamente sempre di più alle produzioni naturali.

In campo agricolo, la Permacultura cerca di mimare, per quanto possibile, i processi di Madre Terra, per cui tende a  adottare i metodi dell’agricoltura biologica rigenerativa non industriale.

Ma non si può annullare la distanza tra l’azione dell’uomo e l’azione di Madre Terra: l’agricoltura era, è e sempre  sarà un’attività che modifica e sfrutta Madre Terra ai fini umani.

Noi specie umana (di solito si dice genere umano come se ci fossero diverse specie umane, ma non mi risultano altre specie umane) possiamo solo imparare a impattare il meno possibile (Permacultura) su Madre Terra e, se fossimo intelligenti e caring, a lavorare sempre pro materia vivente e mai pro materia non vivente.